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Numeri parlanti

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È l’aumento della produttività delle aziende italiane che investono in arte rispetto alla media. 

Perché il monito di Adriano Olivetti, secondo cui “la fabbrica non può guardare solo all’indice dei profitti ma deve distribuire ricchezza, cultura e servizi”, funziona anche al contrario. Distribuire ricchezza e cultura “ripaga”. 

I numeri attuali sono raccolti nello studio “Economia della Bellezza” 2024 di Banca Ifis. Le imprese italiane che investono in arte e cultura sono oltre 700, e fatturano complessivamente €192 mld. 

Sono concentrate prevalentemente al Centro-Nord. 227 in Lombardia, 123 in Veneto e 112 in Emilia-Romagna. L’80% dichiara ricavi sotto i €250 mln e opera soprattutto nel campo della moda, della meccanica e dell’agroalimentare.

Vivacissimo poi il settore bancario. I gruppi bancari che investono in arte hanno registrato un aumento della produttività del 27% nel periodo 2018-2022. Praticamente il triplo del resto del sistema bancario italiano (fermo al +8% nello stesso periodo). 

Le motivazioni per cui le aziende decidono di investire in arte sono diverse. Il 52% lo fa per rafforzare i rapporti con il territorio, il 23% per dialogare e il 12% la considera strumento di creatività. Lo conferma anche Confindustria: le corporate art collection associano ai brand ”valori di creatività, esclusività e unicità” e aiutano a costruire l’identità del marchio. 

Di sicuro, i “ritorni” sono più che positivi. Oltre alla maggiore produttività, secondo il report di Banca Intesa le aziende italiane che investono in arte registrano un aumento medio delle retribuzioni del +120%, segno di un aumento  della valorizzazione delle competenze.

In pratica l’arte in azienda è un investimento concreto, non un di più di facciata: produce crescita, competitività e una reputazione solida, dando forma a un’economia “della bellezza”. 

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