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IMPRENDISTORIE

Emilia Garito

Abbiamo chiesto a una delle maggiori esperte di AI in Italia qualche consiglio su come approcciarsi alla nuova tecnologia… e qualche consiglio di lettura sul tema!

Profilo
Founder & Chairman di Deep Ocean Capital SGR Spa di Quantum Leap S.r.l., esperta di Intelligenza Artificiale, Emilia oggi guida un fondo italiano dedicato al deeptech, Deep Blue Ventures. Missione: collegare l’innovazione prodotta nei centri di ricerca alle imprese italiane, per generare impatto reale.

1. Come nasce il tuo percorso?
Da un liceo classico, dove adoravo la filosofia. Poi ho virato sull’ingegneria informatica. All’epoca non si parlava ancora di multidisciplinarietà, ma ho iniziato a vedere connessioni tra pensiero umanistico e approccio computazionale. Dopo la laurea eravamo nel boom dell’informatica: tutti cercavano programmatori. Ma io volevo formarmi come manager. Non ho accettato le prime offerte, sono entrata come project manager in Finmeccanica. Da lì è partito il mio percorso nella tecnologia.

2. Quando arriva l’idea di Quantum Leap?
Nel 2010. Volevo creare un ponte tra ricerca e impresa. Così nasce Quantum Leap: lavoriamo per far sì che le competenze nate nei centri di ricerca si trasformino in innovazione utile per il mercato. Facciamo tech transfer, da quando ancora non si chiamava così, perché il mercato in Italia era inesistente.

3. Dopo 15 anni con Quantum Leap, hai fondato anche Deep Ocean Capital. Che cos’è?
È una SGR italiana, con investitori italiani pubblici e privati. Obiettivo: investire nel deeptech. Siamo a 60 milioni di euro raccolti, vogliamo chiudere a 70 entro il 31 dicembre. Puntiamo su tecnologie abilitanti. AI, fotonica, cybertech. Oggi abbiamo otto investimenti: dalla fisica quantistica all’intelligenza artificiale. Un esempio? AIKO, una società che sviluppa sistemi di intelligenza artificiale per rendere i satelliti semiautonomi.

4. A che punto è l’Italia con l’AI?
Come Europa siamo ormai in un ritardo forse incolmabile sulla sovranità. I grandi modelli come ChatGPT o DeepSeek sono già stati sviluppati. Ma non è un dramma. La sfida è un’altra: usarli bene. Integrare l’AI nelle nostre eccellenze – meccanica, robotica, chimica, farmaceutica – è molto più importante che sviluppare modelli da zero.

5. Dov’è che l’Italia può davvero giocarsela?
Nell’applicazione industriale. Dobbiamo prendere le PMI e aiutarle a capire dove hanno bisogno di AI. Ogni impresa ha processi che possono migliorare con un uso mirato: controllo dei magazzini, ottimizzazione dei componenti, integrazione nei sistemi meccanici. Ma serve consapevolezza interna. Non si può subire la tecnologia: bisogna capire dove serve davvero.

6. Qual è il rischio che un’azienda può correre nell’uso dell’AI?
Di diventare vittima della tecnica. Ti faccio un esempio: una banca francese ha introdotto agenti AI per gestire le email dei clienti. Risultato? I feedback sono peggiorati, gli operatori si sono sentiti alienati e il cliente ha perso fiducia. Il problema? Nessuno aveva chiesto agli utenti se volevano davvero quella cosa lì.

7. Ci lasci con dei consigli di lettura. Ci suggerisce tre libri per capire l’AI?
“Tutti i mondi che vedo”, di Fei-Fei Li, secondo me la più grande esperta contemporanea di Intelligenza artificiale.
“Human Compatible”, di Stuart Russel, sull’AI e il problema del suo controllo.
“Incoscienza artificiale”, di Massimo Chiriatti. Su come fanno le macchine a prevedere per noi.

E buona lettura!

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